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Lettera di Angelo Cannizzaro concernente Dal Bernina al Naviglio,
Arese, 29 dicembre 2002

Gentile professor Lardi,

[…] Per Eugenio Corti ho un ulteriore motivo di gratitudine, dato che mi ha consentito di conoscere una persona come Lei. Quando, quella sera in metropolitana, abbiamo fatto conoscenza Ella si è semplicemente presentato come un “maestro in pensione”, anche se non ha fatto mistero di essere autore di un romanzo. Apprendo ora che Ella è stato docente di italiano e storia dell'arte alla Scuola magistrale cantonale di Coira, che ha pubblicato articoli, recensioni, saggi e interviste, nonché drammi e racconti, e che ha diretto una rivista letteraria: ecco perché è stato in più punti citato dalla Paola Scaglione, altro che le semplici lettere dei lettori!

D'altra parte, la Sua signorile semplicità viene confermata anche nel modo di scrivere il suo bel romanzo, che si può fregiare di una prefazione a firma Eugenio Corti!

Non Le nascondo che ho trascorso due intere giornate in compagnia di Carlo e del suo entourage, e non sono stato capace di riporre il libro sino a quando ho appreso che "l'ex esportatore" aveva ripassato il confine.

Che dirLe, caro prof. Lardi?

A lettura ultimata, io che non sono un critico letterario ma un semplice lettore, vorrei con sincerità palesarLe il mio stato d'animo.

Devo premettere che siamo pressoché coetanei, essendo Ella nato nel 1936 (ancorché nato nel marzo 1937, i miei compagni di scuola erano della Sua classe). Il mondo descritto nel suo romanzo mi può apparire allo stesso tempo familiare e lontano.

Mi appare familiare perché sono vissuto tra i sei e i diciott'anni a Domodossola, città di confine, dove gli svizzeri erano di casa. Ho vissuto le giornate della Repubblica ossolana, quando la popolazione fu sfamata grazie agli aiuti della Croce Rossa elvetica. Vi ero giunto dall’Istria, dopo essere sfuggito alla furia dei “liberatori” titini. Ho conosciuto le ristrettezze e le paure della guerra, specialmente della guerra civile.

Per converso, il mondo descritto dal suo romanzo costituisce per me un mondo fino ad oggi ignorato. Anzitutto il contrabbando, che io reputavo essere "appannaggio" degli spalloni italiani. Poi quell'ambiente alpino così simile al nostro eppure così lontano in quanto “oltre confine". Francamente ignoravo la povertà d'un tempo delle popolazioni della Val di Poschiavo, abituati come siamo oggi ad abbinare a quelle zone località famose per il turismo internazionale quali Saint Moritz.

Per quanto non si tratti di un romanzo storico, mi consenta di cogliere un'imprecisione quando accenna a un soggiorno del Duce nelle carceri di Como (San Donnino): in realtà l'ultima notte, prima della sua proditoria uccisione, fu trascorsa a Giulino di Mezzegra, presso una casa di contadini. Al San Donnino furono invece rinchiusi diversi gerarchi, scampati al massacro di Dongo.

Se devo esprimerLe altre impressioni, sempre ricavate dalla lettura del romanzo, ho trovato “idilliaca” la descrizione della breve esperienza carceraria del protagonista. Nel complesso, l'ambiente mi è sembrato più svizzero che italiano. Anche il comportamento e, soprattutto, la parlata dei carcerieri non mi è sembrata conforme a quello che ci si può attendere in un carcere italiano, dove è più facile sentire la cadenza centro-meridionale che il dialetto lariano (parlo, ovviamente, per supposizione e non per esperienza diretta). La stessa promiscuità del carcere, con tutte le miserie che essa comporta, non è stata evidenziata.

In quanto figlio di un sottufficiale della guardia di finanza, che sin da bambino ha respirato l'aria delle “fiamme gialle”, non posso condividere la tesi (sostenuta anche da Eugenio Corti nella prefazione) secondo cui il contrabbando è attività illegale, ma non è immorale. È vero che non tutto ciò che va contro il diritto positivo è immorale, al contrario il cristiano ha l'obbligo morale di non seguire le leggi che sono contro il diritto naturale (quali le leggi razziali o quelle che consentono l'aborto). Ma nel caso specifico si tratta di violare le norme tributarie, ossia di defraudare lo Stato (Cristo disse "Dà a Cesare quel ch’è di Cesare!), quindi qui siamo di fronte a un comportamento immorale, oltre che illegale (immorale anche perché consente forme di concorrenza sleale). Detto questo, mi affretto ad aggiungere che, a mio parere, è immorale anche il comportamento dello Stato quando sperpera il sacrificio dei cittadini in spese inutili, incitando così i contribuenti a forme di "legittima difesa".

Quanto alla forma, ho avuto l'impressione di leggere un romanzo scritto in bell'italiano, senza neologismi, senza inglesismi, tanto che mi sorge il dubbio: vuoi vedere che la lingua italiana è meglio conservata al di là delle Alpi?

A questo vorrei aggiungere la "pulizia" del Suo scritto, senza una parola fuori posto (di questi tempi furoreggia in Italia un film dal titolo "vacanze sul Nilo", ahimè record d'incassi, dove sono state contate 100 parolacce: il triste è che è destinato ai bambini: povera Italia!)

E ancora, il Suo bel romanzo non indulge a pruderie, può essere letto da chiunque (e non per questo può essere definito "parrocchiale").

Inoltre il suo modo di scrivere piano, semplice (ma questo l'ha già scritto Corti, con ben altra competenza della mia) costituisce un esempio di autentica buona letteratura. Al riguardo mi permetto solo di aggiungere qualche considerazione.

Ella sa mettere in bocca ai suoi personaggi quelle locuzioni che uno si aspetta da persone di mediocre cultura (a parte il protagonista). Inoltre ho apprezzato il suo periodare quando descrive situazioni che sembrano ricavate pari pari dal modo di esprimersi dei protagonisti, senza ricorrere a frasi colloquiate (ad es.: "Giovanni racconta di quelle galline contrabbandate sempre con la stessa bolletta rilasciata dai doganieri svizzeri per una partita regolare. Di quei maialini addormentati con la grappa per farli tacere, importati passando per i monti là sopra Viano, ma immediatamente macellati per sfuggire alle guardie; scannati nel sonno propiziato dall'alcol, odore di grappa e di sangue a centinaia di metri. La strage degli innocenti. Tre giorni e tre notti a far salsicce...").

Se posso permettermi un'osservazione, trovo che nel romanzo non ci si sia soffermati a dovere nella descrizione dei paesaggi che, dalle giogaie alpine alla pianura lombarda, avrebbero forse meritato qualche riga di più.

Inoltre, una curiosità: perché rifugge dalle virgole nelle elencazioni?

Detto questo, mi fermo perché non vorrei aver abusato della Sua pazienza.

Mi consenta di esprimerLe la mia gratitudine per avermi consentito, con il suo bel romanzo, di venire a conoscenza di un mondo sinora completamente ignorato.

Mi consenta, altresì, di annoverarmi tra i Suoi lettori, i quali certamente si augurano di poterLa leggere in altre occasioni.

Nell'esprimerLe tutta la mia stima, La saluto con viva cordialità e rinnovo alla Sua gentile signora ed a Lei i miei fervidi auguri di Buon Anno, anche da parte di mia moglie (che si appresta a leggere con interesse le avventure di Carlo, dal Bernina al Naviglio)

Suo Angelo Cannizzaro

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